La dichiarazione di rispondenza, che molti operatori chiamano abitualmente con l’acronimo “Di.Ri.”, è un atto sostitutivo della dichiarazione di conformità mancante. Nei casi in cui l’impianto sia stato realizzato prima dell’entrata in vigore del decreto ministeriale 37 del 2008 e, quindi, non esista o non sia più reperibile la dichiarazione di conformità prevista dalla precedente legge 46 del 1990, il proprietario o l’avente titolo può colmare tale lacuna soltanto attraverso la predisposizione di questo documento. Il legislatore ha voluto offrire uno strumento di regolarizzazione per gli impianti esistenti, ma lo ha fatto imponendo condizioni molto stringenti e attribuendo al professionista che redige la dichiarazione un onere di responsabilità particolarmente elevato.
Per comprendere a fondo la portata della dichiarazione di rispondenza occorre prima fissare la cornice temporale in cui essa è ammessa. Gli impianti interessati sono quelli realizzati in un arco di diciotto anni che va dal tredici marzo millenovecentonovanta, data di entrata in vigore della legge quarantasei, al ventisei marzo duemilaotto, giorno che precede l’efficacia del nuovo regolamento. In questo intervallo i datori di lavoro, i proprietari di unità abitative, gli amministratori di condominio e i progettisti avrebbero dovuto ottenere la dichiarazione di conformità direttamente dall’impresa installatrice subito dopo l’esecuzione dei lavori. Tuttavia la pratica edilizia e la mobilità delle imprese hanno mostrato più di una volta che tali documenti possono andare smarriti oppure non essere mai stati rilasciati. È proprio in questo vuoto documentale che la dichiarazione di rispondenza trova la sua ragion d’essere giuridica.
Il secondo presupposto per il rilascio è il sopraggiungere di un’esigenza concreta che renda necessario dimostrare la regolarità dell’impianto. Un tipico esempio è la richiesta di attivazione di un nuovo punto di consegna dell’energia elettrica o di un aumento di potenza contrattuale. Il distributore, per rilasciare la fornitura, pretende un documento che attesti la sicurezza dell’installazione interna e, se manca la conformità, l’unica strada percorribile è quella della rispondenza. Un ulteriore scenario comune riguarda gli atti di compravendita o di locazione di immobili, nei quali il notaio o l’agente immobiliare, sempre più sensibili alla due diligence tecnica, chiedono al venditore di dimostrare la regolarità impiantistica prima di concludere il contratto.
La redazione della dichiarazione non può essere affidata a chiunque. Il decreto trentasette stabilisce che, per gli impianti rientranti nel campo di cui all’articolo cinque comma due, il documento deve essere firmato da un professionista iscritto all’albo per le specifiche competenze tecniche e con un’esperienza di almeno cinque anni nel settore impiantistico oggetto di verifica. Ciò significa che, per un impianto elettrico civile, il tecnico dovrà essere un ingegnere o un perito industriale elettrotecnico con cinque anni di esercizio continuativo. Parallelamente, per impianti di minore complessità che sfuggono a quel comma, può firmare anche il responsabile tecnico di un’impresa abilitata che eserciti da almeno un quinquennio. Il legislatore, così facendo, ha voluto garantire un livello di competenza superiore a quello richiesto per la semplice dichiarazione di conformità, dove è sufficiente la firma dell’installatore al termine dei lavori.
La responsabilità del professionista non si esaurisce in una firma apposta a valle di una scarna dichiarazione. Egli assume la responsabilità civile e penale di quanto afferma e, di riflesso, sarà chiamato a rispondere in caso di incidenti o contestazioni. Per questo motivo la prassi tecnica evolve verso la produzione di un vero e proprio fascicolo di verifica: esso comprende la descrizione dettagliata dell’impianto così come trovato, le misurazioni strumentali, i disegni as-built, le fotografie degli organi di protezione e dei quadri, nonché un riepilogo delle norme tecniche vigenti all’epoca della realizzazione. Sebbene il decreto trentasette non imponga esplicitamente tale corredo, esso risulta ormai indispensabile per dare sostanza alle asserzioni contenute nella dichiarazione di rispondenza. È frequente che il professionista, per non correre rischi, alleghi anche i rapporti di prova degli strumenti di misura utilizzati, la taratura degli interruttori differenziali, la continuità dei conduttori di protezione e la verifica dell’impedenza dell’anello di guasto.
Sul piano normativo, la domanda che molti proprietari e anche diversi tecnici si pongono riguarda il parametro di riferimento: a quali norme deve essere rispondente un impianto costruito, poniamo, nel millenovecentonovantasette? Il decreto ministeriale non fornisce un elenco. Rimanda genericamente alle norme di sicurezza richiamate dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri trentuno marzo millenovecentottantanove. In buona sostanza il professionista deve valutare la rispondenza a quelle regole tecniche che, alla data di costruzione, erano riconosciute come buone prassi nella specifica tipologia d’impianto. Per l’impianto elettrico di un’abitazione realizzato prima del tredici marzo millenovecentonovanta, la circolare del Ministero dello sviluppo economico richiama tre requisiti minimi che, se soddisfatti, valgono come presunzione di adeguatezza: la presenza di un dispositivo di sezionamento e protezione contro le sovracorrenti all’origine, la protezione contro i contatti diretti e la protezione contro i contatti indiretti con un interruttore differenziale avente corrente nominale non superiore a trenta milliampere. Tutto ciò non esonera dall’osservare le normative CEI dell’epoca, ma stabilisce una soglia sotto la quale l’impianto non può essere dichiarato sicuro.
La responsabilità che grava sulle spalle del professionista ha fatto nascere, negli ultimi anni, soluzioni software dedicate che guidano passo passo alla compilazione. Molte di queste applicazioni, nate sullo slancio del D.M. trentasette, riproducono la modulistica ministeriale e contengono librerie di norme tecniche storicizzate, permettendo di verificare, ad esempio, con un semplice flag se una sezione di conduttore, un interruttore magnetotermico o la distanza di un punto presa da un sanitario rispettavano i criteri del tempo. Così il tecnico riduce la probabilità di trascurare dettagli importanti e, al termine, può allegare al fascicolo la stampa riepilogativa firmata digitalmente. L’adozione di questi strumenti informatici non è obbligatoria, ma in sede di contenzioso costituisce un elemento probatorio a favore, perché mostra diligenza e metodo.
Il procedimento materiale di rilascio si apre con il sopralluogo. Il professionista visiona integralmente l’impianto: nel caso dell’elettrico l’ispezione inizia dal punto di consegna e si snoda lungo il montante, i quadri, le canalizzazioni, i conduttori, i punti di utilizzo e i dispositivi di protezione differenziale e magnetotermica. Vengono eseguite le misure di continuità dei conduttori di protezione, la resistenza di isolamento, il tempo e la corrente di intervento dei differenziali, la caduta di tensione. Qualora emergano carenze gravi, il tecnico è tenuto a redigere un rapporto di non conformità e a prescrivere gli interventi di adeguamento. Solo dopo che tali interventi saranno eseguiti da un’impresa abilitata e verificati dal tecnico, egli potrà procedere alla dichiarazione di rispondenza. È palese che la Di.Ri. non è una scorciatoia per evitare i lavori: il decreto pretende che l’impianto, alla fine, sia effettivamente sicuro.
Una volta redatto, il documento, per un esempio è possibile vedere questo modello dichiarazione di rispondenza sul sito Modulieditabili.com, viene consegnato in originale al committente. Non esiste un obbligo generalizzato di deposito presso enti pubblici, fatta salva la possibilità che il distributore lo faccia inserire nella pratica di attivazione del contatore oppure che il comune lo richieda nell’ambito di un titolo abilitativo edilizio. È buona prassi che il professionista conservi una copia firmata, insieme al fascicolo di verifica, per almeno dieci anni, analogamente a quanto avviene per i documenti fiscali. In questo modo sarà in grado di dimostrare le verifiche svolte in caso di contenzioso.
La distinzione concettuale fra dichiarazione di conformità e dichiarazione di rispondenza è sottile ma decisiva. La conformità viene rilasciata dall’installatore al termine di un lavoro nuovo o di una modifica sostanziale e certifica che l’impianto è stato realizzato a regola d’arte secondo le norme vigenti il giorno della consegna. La rispondenza, invece, fotografa lo stato di un impianto esistente e attesta che, pur essendo stato costruito in passato, esso possiede ancora oggi i requisiti minimi di sicurezza previsti all’epoca della sua realizzazione e non presenta degradi tali da comprometterne la funzionalità o l’incolumità delle persone. In termini giuridici la Di.Ri. non sana eventuali violazioni pregresse né rende l’impianto conforme alle norme attuali; certifica soltanto la sua adeguatezza storica. Ciò implica che, se in futuro si eseguiranno ampliamenti o ristrutturazioni, sarà necessario produrre una nuova dichiarazione di conformità relativa alle parti modificate, mentre la rispondenza pregressa rimarrà valida per le porzioni non toccate.
Un aspetto spesso trascurato riguarda la responsabilità del committente. Chi richiede la dichiarazione di rispondenza scegliendo un tecnico inadeguato o fornendo informazioni incomplete può rispondere in solido di eventuali danni. Il codice civile, infatti, impone al proprietario un dovere di diligenza nella conservazione delle sue cose e nella prevenzione dei danni a terzi. Scegliere un professionista iscritto all’albo, con esperienza comprovata e dotato di assicurazione di responsabilità civile professionale, è quindi tanto un obbligo quanto una tutela per il proprietario stesso.